7 Marzo 2009
JAZZ IT - Il suono della Blue Note: intervista a Stefano Amerio
da JAZZ IT di marzo/aprile 2009
Il suono della Blue Note
Abbiamo chiesto a Stefano Amerio, produttore discografico e tecnico del
suono italiano tra i più apprezzati a livello internazionale, fondatore
di Artesuono, un ritratto emotivo di Rudy Van Gelder; un confronto a
distanza, temporale e geografica, tra due inventori di suoni.
Rudy, my dear
di Stefano Amerio
Anni fa mi capitò di vedere una video intervista – penso fosse
contenuta in uno speciale celebrativo sulla Blue Note – dal titolo
“Rudy Van Gelder – A work in progress”. Fino ad allora sul signor Van
Gelder non sapevo molto: avevo, sì, letto un po' di cose sul mito di
Hackensack ed Englewood Cliffs, come pure avevo ascoltato un po' di
dischi; l'avevo associato ad un “passato analogico”, a sonorità che
avevano di certo fatto la storia del jazz ma che con il mio “presente
digitale” non avevano per forza a che fare.
Quell'intervista, invece, mi aprì degli orizzonti nuovi, sull'uomo e
sul “Van Gelder pensiero”, rapportati come è ovvio alla mia personale
esperienza professionale. Man mano che, insieme all'intervistatore
Cuscuna - a cui va dato il grande merito di aver restituito il giusto
peso specifico a grandi label della storia del jazz, come Blue Note,
Pacific, Prestige e altre ancora – ripercorrevo la vita e la filosofia
di Rudy Van Gelder, al tempo stesso individuavo concetti ed episodi di
vita vissuta in cui mi ritrovavo, e questo non poteva che essermi di
buon auspicio.
Come per Van Gelder, la mia passione è nata dal fascino per tutti quei
marchingegni con tante lucine che lui ha trovato nelle grandi console
delle radio di allora, io nell'alta fedeltà. Poi ho cominciato in casa
dei miei (magari però fosse stato quel salotto) con un multitraccia a
cassette, registrando per gli amici che me lo chiedevano. E forse tra
non molto, grazie a un'agenda fitta come racconta nell'intervista il
fonico americano, potrò permettermi uno spostamento verso uno studio
più grande. Da lui sono passate Prestige, Savoy, Vox, Impulse, Blue
Note o Verve e da me Ecm, Universal, Act, Cam Jazz, la stessa Blue Note
e le ottime etichette italiane che amano la qualità: in comune con Van
Gelder ho sicuramente l'appuntamento del sabato, con il mal di testa.
Alla fine della fiera però, come per Van Gelder, lasciare
Cavalicco-Hackensack per uno studio più grande, mi aiuterà a continuare
un sogno: catturare i suoni nella loro dimensione più acustica e fedele
alla realtà, offrendo al tempo stesso più spazio ai musicisti. Per
questo è importante riuscire a creare un'atmosfera che, se per Van
Gelder e Lion era magari spegnere le luci in sala, per me in alcuni
casi significa offrire un ambiente il più caldo, avvolgente e luminoso
possibile. Infatti, quando in questa grigia regione c'è sole, la luce
naturale porta molto benessere. E se questo accade, bè, il “mago del
suono” (come molti mi chiamano da queste parti), non sono io, ma i
musicisti stessi.
Un altro parallelo interessante riscontrato con Van Gelder, è che se
lui aveva Alfred (Lion), io ho Manfred (Eicher). La figura del
produttore discografico è molto importante nel mio lavoro, soprattutto
se poi in questo momento storico la parte la fa il patron dell'Ecm. Il
“mio” Manfred, come per l'Alfred della Blue Note, ha le idee molto
chiare, una progettualità estremamente precisa, e si è creata un'intesa
speciale, che ha permesso di creare una collaborazione stretta
Ecm-Artesuono: anche grazie a questo, lavoro spesso con musicisti
pazzeschi!
Dopo quell'intervista con Cuscuna, mi ritrovai in mano un album che mi
ha sempre colpito molto. Ci suonano i Jazz Messengers, si intitola
“Moanin'”. Lo riascoltai e capii il suo essere avanti. Nel disco si
sentono cose tipiche dei nostri tempi, come la ripresa multi
microfonica, ma anche i solisti in primo piano. Il suono era precursore
delle moderne tecniche di registrazione: si capiva già quello che
sarebbe di lì a poco successo. Una sonorità così, all'epoca se la
sognavano. Artisti incredibili. E poi la freschezza. Tutto avviene in
presa diretta, senza tagli o editing. Un po' come accade con Ecm.
L'intenzione è quella di fissare il momento, facendo un master “direct
to track”, come si dice. Dal punto di vista emozionale, tutto è
estremamente spontaneo e c'è interazione e interdipendenza continua, in
senso circolare, tra musicisti, tecnico del suono e produttore. Si crea
un flusso continuo in cui tutti dipendono da tutti.
Detto questo, è ormai facile capire che, la differenza sostanziale tra
i nostri tempi e quelli di Van Gelder, e cioè la differenza tra
“passato analogico” e “presente digitale” - così mi sono risposto dopo
aver visto “A work in progress” -, stanno solo nelle tecnologie, a
parità di musicisti, filosofia e professionalità. Personalmente lavoro
con mixer analogico e convertitori digitali di alta qualità. Amo
l'analogico perché ci sono nato, ma la tecnologia si evolve, e bisogna
saperla utilizzare. Il digitale è una gran cosa, anche se potremmo
definire la sua qualità odierna come soddisfacente. Mi consente però
dei tempi di lavoro molto ridotti e una duttilità finora impensabili.
Poi per il resto, i procedimenti sono simili: si registra, viene fatto
un master su cd (invece che su cera lacca), e da qui partono le stampe
industriali. Siamo comunque già oltre, oramai a tutti è data la
possibilità di scaricare i brani musicali direttamente dal web.
Stefano Amerio
chief sound engineer – ARTESUONO