7 Marzo 2009
IL GIORNALE DELLA MUSICA - Intervista a Stefano Amerio
Nel breve volgere d’una decina d’anni Stefano Amerio è diventato
l’ingegnere del suono più ricercato d’Italia ed Artesuono, il suo
studio di registrazione a Cavalicco, in provincia di Udine, la meta
preferita di molti jazzisti. Nostrani, ma non solo: è sound engineer
accreditato per Ecm, e l’album Distances di Norma Winstone, registrato
da Amerio nel 2007, ha appena ricevuto la nomination ai Grammy Awards.
Un po’ come la fotografia, la registrazione sonora da semplice medium
tecnico, strumento di un processo mimetico, si è trasformata col tempo
in arte vera e propria, espressione di un gesto creativo. E nella
storia della fonografia si possono contare produzioni discografiche dal
suono unico, inimitabile, fatto di scelte artistiche tanto sonore
quanto di repertorio.
Tu che hai maturato esperienze con numerosissime case discografiche
quanto pensi che la committenza possa influenzare il sound della
registrazione?
Il sound peculiare di un’etichetta è determinato principalmente da una
figura: il produttore. E dal fonico a lui associato. Indicazioni e
capacità del produttore portano ad un suono ben riconoscibile: un
esempio fra tutti, il suono Ecm. Manfred Eicher per me è fondamentale,
mi conduce a lavorare secondo schemi determinati dalla sua personalità,
seguendo istruzioni molto precise. È un regista che mi indica dove il
suono deve andare: la mia esperienza e la mia sensibilità si esprimono
poi coniugandosi a queste indicazioni. Sono processi che si stanno
perdendo, e molti artisti diventano produttori di se stessi: bellissimo
dal punto di vista della libertà espressiva, ma si rischia di non
essere obiettivi e critici. La visione artistica di un produttore con
la "p" maiuscola è decisiva per il risultato finale.
In quest’era di mp3, di compressioni, di scarsa attenzione alla
qualità sonora, con che spirito si trova a lavorare un tecnico che
proprio della qualità ha fatto un marchio di fabbrica? Ci si sente
parte di un’elite sempre più ristretta? Eredi di una tradizione
artigianale in via d’estinzione?
Da un lato l'mp3 è una svolta epocale quanto il cd. La musica è ovunque
ed alla portata di chiunque. Dall’altro ha portato alla diseducazione
verso l'ascolto di qualità. La qualità audio che si andava cercando con
l'acquisto dell'hi-fi ora si sta perdendo sempre di più. Poi c’è la
guerra dei decibel: cd distrutti dall’iper-compressione, suoni distorti
per far suonare più forte il brano. Preferisco rimanere nell’elite di
coloro che amano la musica ed i bei suoni. Il sacrificio di catturare
ogni sfumatura sonora non può essere vanificato da un misero mp3. È
importante farlo capire ai giovani. Vedo l'mp3 più come veicolo per
pubblicizzare la propria musica; bisogna però informare gli
utilizzatori che esiste la versione in cd, che può dare altre emozioni,
in quanto qualitativamente superiore.
Come hai iniziato a registrare il jazz e quali sono i tuoi sound jazzistici preferiti?
Il suono americano mi ha sempre affascinato. Caldo, vigoroso,
articolato. Secondo me si deve al fatto che negli Stati Uniti gli studi
utilizzano molto legno. A 13 anni un amico mi ha fatto ascoltare un
disco a me sconosciuto, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd: mi si
è aperto un mondo. Da allora ho iniziato ad ascoltare di tutto, ma
facendo sempre attenzione a quei dischi il cui suono mi emozionava di
più. Poi un giorno Glauco Venier, allora mio insegnante di pianoforte,
mi chiese se volevo registrare un suo disco. Avevo un piccolo studio e
registravo prevalentemente pop, ma accettai la sfida. Mi diede da
ascoltare alcuni cd dell'Ecm e andammo nello studio di Radio
Capodistria. Lì feci il mio primo disco jazz, su un registratore a
nastro. Rimasi folgorato da questi musicisti che suonavano in presa
diretta, senza sovraincisioni, tutto d'un fiato. Poi arrivarono U.T.
Gandhi e Giovanni Maier, tutti friulani dell'Electric Five di Enrico
Rava, con cui incisi un cd per la Label Bleu. In seguito Enrico,
colpito dalle mie registrazioni, mi diede la notizia che l’Ecm sarebbe
venuta a Cavalicco a registrare il disco Easy Living: da non crederci.
Che cosa è cambiato nella registrazione del jazz negli ultimi anni?
La tecnologia ha fatto fare al jazz un salto qualitativo. I budget del
jazz sono sempre stati risicati, e quindi le registrazioni spesso non
erano di grande qualità tecnica. Ora con il digitale si possono
realizzare registrazioni di altissimo livello a costi inferiori. Il
tecnico del suono deve avere però la capacità di fissare su disco tutte
le nuance della performance. I microfoni, il loro posizionamento e la
bravura dei musicisti restano le cose più importanti. Le macchine ci
hanno aiutati a migliorare la qualità, ma l'uomo non potrà mai essere
sostituto da esse.